L'era delle crisi: di fronte alle scelte per costruire il futuro

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Società Geologica Italiana

A cura di: Silvia Peppoloni (Coordinatrice della Sezione di Geoetica e Cultura Geologica)

Da circa quindici anni mi dedico allo sviluppo e alla promozione della geoetica in tutto il mondo. Quando parlo di geoetica mi riferisco ad un'etica della responsabilità dell'essere umano verso il sistema Terra. Una geosofia, una "sapienza" del funzionamento della Terra, che nell'essere umano si traduce in phronesis aristotelica, una saggezza capace di indirizzare le scelte, una saggezza del vivere la Terra, che presuppone la consapevolezza della posizione e della condizione umana nella grande architettura naturale.
 
La geoetica sottolinea la necessità che si stabiliscano principi e valori di riferimento comuni tra gli individui, dal momento che non si può prescindere dalla loro dimensione sociale, di interazione e di organizzazione comunitaria. La responsabilità è il ponte che lega la coltivazione delle virtù dell'individuo (la geoetica è etica della virtù) e la sua azione nell'area vasta delle relazioni in cui è immerso (la geoetica è anche un'etica della responsabilità, ovvero della presa in carico consapevole delle conseguenze del proprio agire in un sistema di relazioni complesse, che verranno inevitabilmente modificate dalle proprie scelte).
 
Definirsi "defensores terrae", custodi del pianeta e della natura, può nascondere una forma di duro antropocentrismo mascherato da ecocentrismo rigido, a volte intransigente, e tradire il permanere di quell'idea culturale di separazione tra noi umani e ciò che è altro da noi, che ha scavato un solco percettivo tra essere umano ed essere non-umano, tra noi e la natura, vivente e non vivente.
Credo piuttosto che siamo compartecipi dell'essere naturale in una relazione di continuo scambio tra noi e l'altro, senza soluzione di continuità, capaci di definirci anche identitariamente come specie naturale.
 
Non possiamo negare di essere certamente antropocentrici (almeno sul piano cognitivo), ma siamo anche biocentrici (nel nostro prediligere la vita animata all'essere inanimato) ed ecocentrici (capaci anche di cogliere il valore del tutto più che delle sue singole parti costituenti), come pure geocentrici, o meglio geacentrici (del resto in questo universo non abbiamo altra dimora che Gea, la Terra, almeno per il momento).
 
Siamo poliedrici, siamo tutto insieme, ma non ne siamo consapevoli. E se lo fossimo, consapevoli, saremmo semplicemente umani, integrali, autentici, terrestri.
Gea, la nostra madre Terra, è un concetto trasversale a molte culture umane. Un sistema complesso, un'inestricabile rete di relazioni, in cui la parte si sviluppa nel tutto e il tutto si modifica incessantemente nell'evoluzione delle sue parti.
 
Parlare di etica, di geoetica, in particolare oggi, significa per me contribuire a scrivere un nuovo modo di percepire e di pensare il mondo. Perché il mondo, così com'è non funziona più. Troppe fratture e relazioni strappate, troppe prevaricazioni e disuguaglianze, troppa morte e sofferenza. Ovunque, non solo nel nostro "biasimevole" occidente, ritenuto causa di tutto (https://rewriters.it/la-crisi-climatica-si-risolve-con-la-giustizia-sociale-jason-hickel/), nel bene e soprattutto nel male.
 
Parliamo di crisi ecologica, sociale, energetica, economica, morale, geopolitica . . . . Troppi termini per evitare di misurarsi con ciò che chiaramente è una crisi dell'essere umano, dei suoi riferimenti etici, culturali, educativi, sociali, economici.
 
La crisi ecologica è al contempo crisi dell'ecosistema naturale e dell'essere umano, che ne è parte integrante. La crisi dell'ecosistema umano, ormai esteso all'intero pianeta, e del soggetto che lo costituisce, pur nella diversità delle sue modalità espressive, scuote, dilania, ferisce mortalmente anche l'ecosistema naturale. Inevitabilmente.
 
L'Antropocene diventa "antropocrisi", disorientamento, impotenza, rassegnazione dopo l'eccitazione di secoli di affermazione, orgoglio, predominio, diventa cammino sul filo sottile, impercettibile, dell'incertezza, della possibilità.
 
Possiamo ancora scegliere tra il disastro e un nuovo mondo, possiamo ancora decidere di continuare ad alimentare il processo distruttivo in atto, o usare la nostra straordinaria creatività per arrestarlo. Il nostro futuro sta nel cogliere e imparare a gestire questa ambivalenza, nella consapevolezza dell'imprevedibilità della storia umana (https://www.avvenire.it/agora/pagine/per-luomo-tempo-di-ritrovare-se-stesso).
 
Dovremo rinnovare il nostro lessico e riscoprire il significato profondo delle parole, inventare una nuova società, globale, inclusiva, che comprenda anche le entità non umane, costruire una nuova etica che riscriva il nostro far parte della natura, un'etica verso la Terra: una geoetica.
 
Dovremo fare a meno della saggezza visionaria di maestri come James Lovelock (https://www.bollatiboringhieri.it/libri/james-lovelock-gaia-9788833922157/) (1919-2022) e Bruno Latour (https://www.meltemieditore.it/catalogo/la-sfida-gaia/) (1947-2022), entrambi scomparsi quest'anno. Senza di loro, dovremo mettere in discussione fino in fondo il mondo attuale e costruire un'idea possibile di futuro da consegnare ai giovani.
 

Photo credit: Modern Curvy Towers Photo, by Matthew Henry (https://burst.shopify.com/photos/modern-curvy-towers)

 
 
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